Categoria: La Base Critica (libro)

LA BASE CRITICA – 08 – LA CORRUZIONE DELLE RELIGIONI

2. Perché esistono religioni ideologizzate
   Se il fondamento delle religioni non è ideologico si può però parlare d’ideologia religiosa. Una religione non nasce, in generale, come ideologia ma può essere ideologizzata.
Questo avviene quando:
1) il contenuto della sua rivelazione è perso di vista come continua apertura verso il divino e il dogma è semplicemente cristallizzato;
2) il contenuto della rivelazione perde il suo primato in favore di un interesse politico-sociale.
   Nel primo caso è come se il cuore di una religione cessasse di battere. Nel momento in cui i dogmi della rivelazione cessano di essere significati e giustificati dalla tensione verso il fondamento logico che abbiamo definito “vuoto di potere” e che rappresenta il più autentico contatto col divino, […] allora la religione mina le sue stesse radici, fa terra bruciata attorno a sé, desertifica il suo stesso ambiente e perde il suo più grande potere, ovvero quello di comunicare alle coscienze sulla base di quella esigenza comune a ogni soggetto […].
   Nel secondo caso, […] il contenuto spirituale della rivelazione si corrompe a favore di una temporalizzazione politico-sociale che, secondo questo processo, è il tentativo della religione di trovare una nuova base di comunicazione che sia efficace quanto quella precedente. Questa è però un’illusione.
L’illusione consiste nel fatto che la religione vuole sentirsi e presentarsi come ispiratrice socio-politica mentre è la società e la politica a ispirare la religione. Nel concreto sono le azioni sociali e i fatti politici, che non hanno alcuna radice religiosa, a condizionare il comportamento religioso.
   Dove questo accade, abbiamo una religione che diviene di fatto un soggetto politico integrato nell’ambito di una società il cui primato è laico. Quando la religione però, per tradizione, per storia o tendenza culturale del contesto di riferimento, vuole e può assumere il primato di network socio-politico, allora essa può assurgere ad un primato temporale che porta, nei casi più estremi, […] alla teocrazia, vera, presunta o mascherata che sia.
   Se le religioni si purificassero dalle incrostazioni socio-politiche, smettendo di rivendicare tale ruolo, potrebbero concentrarsi su quegli elementi umani che hanno la stessa natura del loro fondamento. Tali elementi sono i sentimenti, le gioie, i dolori, le sofferenze, la sete di conoscenza, l’amore per il bello, la creatività, eccetera.
Le religioni dovrebbero avere il compito di accudire l’uomo nella ricerca del senso della vita, che è ciò che accompagna più da vicino la percezione del vuoto di potere […].
Esse, invece, hanno creato strutture enormi guidate da sovrastrutture enormi guidate da uomini che, in buona o cattiva fede, sono costretti a dirigerle per salvaguardarle.
   Il vero senso delle religioni odierne è quello di perpetrare le proprie strutture e sovrastrutture, ossia il senso di ogni organizzazione istituzionale esistente.
Così come le istituzioni investono ogni risorsa per permanere e soffocare ogni possibile anomalia nei sistemi in cui esse agiscono, così le religioni si sono apparatizzate e come conseguenza ovvia sono divenute istituzioni in interazione con le altre istituzioni.
   Questo genere di attività, naturale nelle istituzioni politiche, abominevole nelle religioni, si contraddistingue per essere mistificatoria, in quanto propone i modelli istituzionali vigenti come unici modelli possibili o preferibili, e complessa in quanto non rimanda ad un unico principio di azione sociale ma agisce a tutti i livelli possibili. Anche senza applicare il metodo dell’elemento ideologico nei suoi cinque punti, è evidente che l’istituzione religiosa come produttrice di attività mistificatoria complessa è ideologica.
   Ecco perché si può parlare di religioni ideologizzate.



(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 07 – MA LA RELIGIONE E’ UNA IDEOLOGIA?

PARTE II
L’uso ideologico della ragione genera errori:
il caso della religione

1. Perché la religione non è un’ideologia
   Un caso piuttosto emblematico di degenerazione ideologica è quello delle religioni.
Esse non sarebbero delle ideologie, tuttavia possono, per così dire, ideologizzarsi.
[…] Sarà il caso di […] mostrare come mai le religioni non hanno un fondamento ideologico. Se consideriamo l’ideologia come una mistificazione complessa della realtà, […] allora o la definizione di religione è trascrivibile in quella di ideologia oppure la religione non è un’ideologia.
   Per religione intendiamo, in generale, “ogni complesso di credenze ed atti di culto organizzati che esprime il rapporto dell’uomo con il sacro e il numinoso”. […]
La questione non è chiarire ciò che presuppone il culto e la sua organizzazione ma […] il rapporto tra l’uomo è ciò che si cela dietro il termine “numinoso” e che rende quel rapporto riferibile alla sfera del sacro. Numinoso non è esattamente “divino” o “il dio” ma […] allude a un potere che è causa e non effetto.
[…] Il rapporto causa-effetto di cui stiamo parlando è la comune radice di ogni paradigma religioso. Il potere […] è la causa e tutto ciò che non è il potere è da esso causato ed è suo effetto. Ma di cosa è causa il potere? Di tutto ciò che è esistenza ed esistente.
L’uomo è esistenza che si coglie come esistente nell’esistente ed è quindi un effetto. In quanto tale egli coglie il suo rapporto con tutto il resto e con il fatto di non esserne causa.
Il rapporto dell’uomo con il tutto […] sviluppa nella coscienza la percezione di un vuoto: un vuoto logico. Tale vuoto è un vuoto di potere.
   […] Tale causa l’uomo l’ha chiamata in molti modi a seconda della composizione prefigurativa della rappresentazione che se ne è dato. In generale si distingue tale potere come “il divino”.
Alla base della religione c’è quindi una naturale assunzione razionale della coscienza di un vuoto di potere nell’universo e l’altrettanto naturale ricerca di ciò che possa colmare quel vuoto, e che assume connotati sentimentali.
Non si può non essere d’accordo con quei filosofi che hanno riconosciuto nella religione un fatto naturale, ossia una naturale tendenza della coscienza così come è naturale per il corpo accrescere e diminuire, divenire e perire.
   […] Il numinoso scaturisce da un percorso naturale razionale. La radice naturale del numinoso è logica. […] Le credenze e i culti sono conseguenti alla radice del rapporto dell’uomo con il sacro e in generale con il divino.  In questo senso, dunque, la religione ha un fondamento che non è artificiale, ossia costruito dalle capacità dell’uomo e, in quanto tale, cioè in quanto naturale, esso non è mistificatorio ma reale e non è complesso ma semplice, quindi non è ideologico.
   […] “E’ un fatto della ragione”, per citare Kant, che s’impone all’uomo come gli s’impone la crescita degli arti. La ragione è costitutiva dell’organismo vivente umano e questo fatto della ragione, ossia la percezione cosciente del vuoto di potere, è connaturata a esso. La volontà può deliberatamente decidere di ignorare una propria percezione ma ciò non significa che essa non sia. (Avviene, per esempio, che si decida di ignorare un dolore e di persistere nell’azione che lo causa).
Si può, inoltre, essere più o meno sensibili rispetto a qualcosa che riguarda, anche strutturalmente, la nostra esistenza ma ciò non significa che una minore sensibilità elimini il fatto in sé. (I governi intraprendono consapevolmente, spesso, azioni politiche che, per il bene di pochi o pochissimi, danneggiano i molti).




(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 06 – PERCHE’ IL RAGIONARE UMANO E’ TENDENZIALMENTE IDEOLOGICO

Continuiamo la pubblicazione per capitoli del libro La Base Critica di Vess Savage, a proposito del sistema globale e delle prospettive politiche di autentico cambiamento.
I capitoli che seguono risultano alquanto “filosofici”, ne pubblichiamo dunque solo degli estratti significativi e lasciamo al lettore interessato la lettura integrale (il testo del libro è scaricabile qui a fianco pagina all’apposito link).
[NdR]



3. L’uso naturalmente ideologico della ragione
   Quando analizziamo qualcosa, la nostra naturale tendenza è di scomporre e ricomporre l’oggetto della nostra analisi […]. Perché? Semplicemente perché ragioniamo dando per scontata la validità del principio di causa-effetto per cui ogni cosa deve avere una causa ed essere in grado, a determinate condizioni, di sortire un qualche effetto.
[…] Noi diamo per scontato, cioè non abbiamo dubbi, che rispetto a un evento con cui entriamo in relazione, debba essere identificato un nesso di causa-effetto.
[…] Più semplicemente, quando ragioniamo attorno ad un fenomeno, ne cerchiamo automaticamente la causa e gli effetti, creiamo, cioè, un primo schema o sistema.
In seguito, se continuiamo l’analisi, schematizziamo il fenomeno raggruppandolo assieme a tutti i fenomeni che riteniamo analoghi ad esso, creando un sistema più grande: questo è il nostro modo naturale di procedere e in esso, a parte le discussioni sulla validità del principio di causa-effetto che non verranno affrontate in questa sede, non c’è nulla di male.
   Abbiamo quindi mostrato come sia naturale l’uso della ragione secondo la prima condizione dell’elemento ideologico, ossia la condizione sistematica.
   Per ciò che riguarda la seconda condizione, quella regolativa, è piuttosto semplice comprendere che ogni analisi, di un qualsiasi fenomeno, tende a concepire delle regole da cui quel fenomeno dipende e senza le quali non può verificarsi.
Non si parla in questo caso di cause ma di […] condizioni necessarie: […] quindi, quando si utilizza la ragione per analizzare qualcosa, noi ricerchiamo delle regole o leggi necessarie e imprescindibili per la sua comprensione e spiegazione e nemmeno in questo c’è qualcosa di male.
   Terza condizione: pensare dogmaticamente significa tendere a ritenere indiscutibili le proprie opinioni. Questa, in generale, non è una tendenza naturale dell’analisi razionale. Essa, però, diventa una tendenza naturale quando la ragione è orientata ideologicamente. […]
   Quando si analizza ideologicamente qualcosa, si orienta ogni nostra disposizione razionale verso un fine. Questa è la quarta condizione. […] Noi concepiamo il fine come razionale e, cosa ancora più importante, concepiamo ciò che ha un fine come qualcosa di razionale.
Se qualcosa non possiede uno scopo, noi diciamo che è senza scopo ovvero senza senso, irrazionale o addirittura assurda.
   Veniamo alla quinta condizione: in ogni processo di analisi, la ragione problematizza il suo oggetto, […] alla stregua di un problema da risolvere.

   Questo implica che lo svolgimento naturale dei ragionamenti sia orientato a una conclusione che rappresenti come la soluzione del problema. Quando si pensa, ideologicamente, si tende a considerare tale soluzione come definitiva, in altre parole valida in modo definitivo, cioè sempre e comunque.
La conclusione dei ragionamenti ideologici si pone quindi come definitiva; a essa sfugge la prospettiva del “fino a prova contraria” […].
(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 04 – COS’E’ L’IDEOLOGIA? CHI SE NE SERVE?

PARTE I – L’ideologia e l’uso ideologico della ragione



1. Cos’è l’ideologia?

Il termine ideologia ha una lunga storia. 

Nel suo percorso esso ha assunto una pluralità di significati la cui problematicità non è stata risolta del tutto e resta ancora oggi aperta.
   E’ doveroso, tuttavia, essendo l’ideologia concetto fondamentale nell’ambito di questa critica, che se ne definisca il significato preciso di riferimento onde non invalidare alla base il nostro tentativo speculativo attraverso un vocabolario equivoco. Vale la pena, dunque, ripercorrere brevemente l’iter storico, culturale e filosofico della sua definizione per approdare al nostro punto di vista sulla parola “ideologia”.

   “Scienza delle idee o percezioni” è il significato che assunse il termine ideologia quando fu impiegato per la prima volta da Destutt de Tracy alla fine del Settecento ed esplicitato nell’opera Elementi d’ideologia (4 voll., 1801-15).
In tale accezione ideologia indicava il tentativo di costruire una scienza delle idee basata sulle teorie di Locke e Condillac per stabilire i meccanismi elementari del pensiero che sono alla base dei contenuti mentali sotto forma d’idee.
Non è evidentemente questo il significato d’ideologia cui ci riferiamo poiché de Tracy cerca di far luce sulla base gnoseologica del soggetto e non sugli effetti che il pensiero determina nella storia attraverso l’azione sociale.

   Una fondamentale rielaborazione del significato del termine si ebbe con l’Ideologia tedesca (1845-46) di K. Marx e F. Engels. Tale rielaborazione è veramente importante perché conquista l’ideologia al vocabolario della filosofia postmoderna.
In questo senso l’ideologia è la rappresentazione che ricopre come un abito (da Ideenkleid: <>) la nuda realtà dei fatti e delle cose sia attraverso immagini che giustificazioni illusorie legate ad una trama di idee intessute in prevalenza dalla classe sociale dominante in una determinata epoca.
Per Marx ed Engels, poi, tale intreccio d’idee è prodotto volutamente poiché è utile alla conservazione delle condizioni di quel dominio.
Tale accezione del termine indica il chiaro intento critico di Marx ed Engels che vollero disilludere i giovani hegeliani e i cosiddetti “veri socialisti” tedeschi sul fatto che ai processi storici presieda la lotta tra le idee.

   In questo senso risulta impossibile modificare la società tramite una critica delle idee così come avevano creduto Stirner, Feuerbach e Bauer.
Il materialismo storico taccia questa posizione come a sua volta ideologica proprio perché illusoria e sovrastrutturale.
Anche esso, tuttavia, finisce per rientrare nella categoria di ideologia poiché, definendo delle direttrici storiche incontrovertibili, caratteristiche del cammino dialettico verso il comunismo, si veste dell’habitus dogmatico del profetismo e della mistificazione, proponendo una teoria destinata ad affermarsi in un processo dialettico storico, cadendo esattamente nello stesso tipo di atteggiamento di Hegel e della sua filosofia della storia.

   La definizione d’ideologia di cui sopra è condivisibile solo a patto che si renda strumento neutro di analisi. Per tali ragioni essa va ridefinita
Cerchiamo di eliminare dalla definizione precedente i motivi superflui e a loro volta ideologici.
Proviamo a ridefinire l’ideologia in questo modo:

“l’ideologia è la trama di idee che ricopre come un abito la nuda realtà dei fatti e delle cose a seguito delle finalità e delle scelte, consapevoli e non, di coloro i quali, all’interno di una società, elaborano quella trama”. 

   In questo primo tentativo abbiamo eliminato dalla definizione il concetto di “classe dominante”. Perché?
Perché se è chiaro che i vertici di un sistema sociale possano essere produttori di un’ideologia tendente a conservare le condizioni materiali in cui essi dominano, è altrettanto vero, però, che qualunque altro soggetto sociale possa essere produttore di un’ideologia. 
La definizione marxiana, in tal senso, non è sufficientemente ampia.

   Abbiamo anche eliminato i termini “immagini” e “ giustificazioni” “illusorie”, perché il primo termine non dà ragione della complessità del panorama mediatico odierno rispetto all’epoca di Marx, mentre il secondo è tautologico, infatti è ovvio che se l’ideologia è un habitus, tende a rappresentare come vero e quindi a giustificare ciò che non lo è.
L’eliminazione del terzo termine, ossia dell’attributo “illusorio” va da sé perché legato al secondo termine. 

   Non ci siamo tuttavia limitati a eliminare elementi dalla definizione ma ne abbiamo aggiunti.
Vediamo il primo: “a seguito delle finalità e delle scelte”. Questo significa che una produzione ideologica è in potenza rispetto ai fini e alle scelte di chi esprimerà la volontà di produrla. 
Ciò mette in luce il fatto che la produzione ideologica è sempre strumentale rispetto ai fini di chi la produce.

   Vediamo il secondo elemento: “consapevoli e non”.
Chi stabilisce che il produttore d’ideologia sia consapevole di produrre ideologia?
La verità è che i soggetti sociali protagonisti di produzioni ideologiche possono anche non sapere, fatte salve le loro intenzioni e le loro scelte, di essere tali. Potrebbero produrre ideologie compiendo azioni che per essi non hanno quello scopo: per questo è importante distinguere l’ideologo consapevole dall’ideologo inconsapevole.
Chi ci dice, inoltre, che le stesse forme comunicative adottate in una realtà sociale non siano ideologiche di là dagli intendimenti e dalle conoscenze di chi le usa?
La questione è complessa.

   La definizione d’ideologia in sé, così come l’abbiamo presentata nella modificazione di quella marxiana, va ritenuta come una conquista definitiva dell’analitica filosofica, ma, come tale, non può essere valida se considerata per sé, ossia parte di una filosofia della storia. 
La definizione d’ideologia è analiticamente probante solo nel suo uso trascendentale, ossia essa va considerata valida solo come strumento a priori per l’analisi di ogni teoria e non come parte dell’ analisi di una teoria.
L’analisi ideologica che scaturisce dal corretto uso di questo elemento critico trascendentale, serve a stabilire se una teoria è o non è un’ideologia.

   Programmaticamente ci dobbiamo proporre di spiegare:
a) come ciò che noi chiamiamo  “l’elemento ideologico” sia trascendentale e quindi sia concepibile un uso della ragione naturalmente ideologico;
b) perché l’uso ideologico della ragione è scorretto;
c) posto che la produzione ideologica sia consapevole o inconsapevole, come essa si produce;
d) come la produzione ideologica inconsapevole debba e possa essere evitata e come la produzione ideologica consapevole debba e possa essere combattuta;
e) qual è l’alternativa alla produzione ideologica.



(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 03 – A CHE SERVE LA FILOSOFIA? L’UOMO E’ INGABBIATO?

La funzione della filosofia
   Nell’Eutidemo Platone definì la filosofia in una delle sue funzioni fondamentali: “uso del sapere al servizio dell’uomo[1]. E’ punto d’onore per la filosofia riaffermare il proprio senso secondo questa lectio platonica.

Il motivo fondamentale è il seguente: non esiste un ambito in cui l’uomo abbia saputo esercitare le proprie capacità di là dagli interessi sociali specifici di un individuo o di un gruppo, fatta eccezione per la scienza teorica e per la filosofia.

Posto che la prima non contempla come oggetto il senso di ogni umanismo ma vi si riferisce solo come nessi mezzi-scopo, è la seconda a occuparsi della costituzione del senso, anche del senso della scienza e, come tale, rappresenta l’unico possibile orizzonte interpretativo dell’esistenza: non come essa accade (scienza) ma che senso ha il suo accadere (filosofia). 

Per questo motivo una politica che esprima un’esigenza universale, in altre parole una cosmopolitica, non può che essere filosofia e porsi sopra ogni interesse specifico. Ovviamente non si tratta di una filosofia che abbia come oggetto un milieu particolare ma la realtà sociale in sé e per sé e per questo capace di individuare l’essenza dell’umanismo, un’essenza che non muta nel tempo e che, come tale, rappresenta la chiave di lettura, il passepartout di ogni epoca particolare.


   E’ questo l’ennesimo tentativo di individuare una filosofia della storia? E’ ovvio che sorga spontanea la domanda, tuttavia la risposta è negativa. Una filosofia della storia individua un leitmotif, semplice o complesso, che caratterizzi lo svolgersi del processo storico senza eccezioni.

Non si tratta qui di ingabbiare la storia né di ingabbiare l’uomo. Si tratta di affermare con forza quali siano le capacità e le possibilità che da sempre costitutive dell’essere umano, ne rappresentano l’habitus agendi nel mondo.

Non si tratta nemmeno di vagliarne i limiti ma, piuttosto, di vedere se sia l’uomo stesso a essersi ingabbiato da solo e se, e in che modo, egli riesca a utilizzare quelle sue caratteristiche fondamentali che contribuiscono a definirne l’essenza e a determinarne ogni azione sociale.

Ci si chiede quindi se sia la ragione a rappresentare l’essenza delle azioni sociali e quale tipo di ragione sia quella che determina oggi la rotta della nave-uomo. In questo non c’è bisogno di inventare nulla quindi inizieremo servendoci di osservazioni già compiute sull’argomento dai grandi pensatori che hanno attraversato la nostra storia.


   In tal senso chi scrive avrà il compito di attualizzare la questione e di fornire il proprio contributo sul rapporto tra ragione e ideologia che, ci sembra, sia il punto fondamentale per l’interpretazione dell’umanismo oggi, e possibilmente di indicare, alla fine di tale percorso, una genesi di azioni sociali alternative.


[1] Platone, Eutidemo, 288d-289b

(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 02 – I LIMITI DEL NOSTRO VIVERE INSIEME

PREMESSA 2


   Tutte le ideologie sono mistificazioni della realtà: menzogne.
La nostra società si basa su di esse.
Quest’opera vuole mostrare i limiti del nostro vivere insieme e smascherare l’establishment economico, politico e culturale dell’occidente.


   Questa è un’opera filosofica, non scientifica, ma divulgativa, dedicata principalmente alle giovani generazioni perché sono loro che nei momenti più oscuri hanno il compito di superare i limiti che gli adulti non riescono più a varcare. Mostreremo che cosa sono le ideologie, come si possono riconoscere, come ci circondano e cosa hanno determinato.


   I valori sociali, le istituzioni politiche, il Mercato e il suo modello di globalizzazione, sono tutti ideologici ma non sono nati per caso e non proseguono il loro corso con determinazione e perseveranza per caso. 


   Mostreremo che la libertà è realmente solo un privilegio di pochi e che il futuro per quanto sia ancora da scrivere, sarà scritto con una penna nera. Sempre che non si riesca a dire basta. 
E cercheremo anche di spiegare come fare a fermare tutto questo sebbene non ci si possa illudere di fermarlo adesso. Questo mondo tra la sua bellezza e la sua patetica follia è stato costruito sulla pelle di miliardi di persone e in centinaia di anni. Non ci vorrà così tanto per cambiarlo in meglio ma servirà del tempo.


   La pazienza è amica della saggezza e della forza. Eppure per poter cambiare il domani qualcosa occorre fare già oggi. 
Cosa? L’abbiamo esposto in questo testo. Buona lettura.

(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,
www.freelosofy.blogspot.com)

LA BASE CRITICA – 01 – PER UN APPROFONDITO INTERVENTO POLITICO E SOCIALE

Con amore, a tutti i giovani
con cui ho avuto l’onore
di confrontarmi

PREMESSA

Questa è un’opera filosofica, essoterica e non scientifica, dedicata principalmente alle giovani generazioni. Con essa l’autore si propone di fornire riflessioni circa la funzione attualmente esercitata dalla cultura ideologica in Occidente in rapporto alla libera facoltà della ragione e di individuare un’alternativa culturale ed indicazioni per azioni sociali conseguenti.

Uno degli intenti dell’opera è quello di fondare una analitica del nesso tra razionalità e ideologia. Secondo questa prospettiva, l’oggetto specifico risulta il rapporto di senso che unisce l’uomo alla sua produzione ideologica. 
Il punto critico di questo rapporto va identificato con le conseguenze cosmopolitiche che l’esercizio ideologico della ragione ha prodotto, produce e potrebbe produrre se la sua azione consolidata continuasse a protrarsi nel tempo.

In altri termini, analizzare la nostra cultura ideologica ci aiuta a chiarire l’essenza stessa della nostra civiltà e delle regole sulle quali essa si fonda affinché sia possibile rendersi conto dei difetti dell’organizzazione sociale in cui viviamo e formulare proposte concrete, culturali e sociali, intenzionate a migliorarla.
Per queste ragioni, a seguito di una parte teoretica, dal linguaggio tipicamente specialistico, e che ci si augura il lettore avrà la pazienza di rielaborare, il testo si dispiega in una narrazione dal chiaro intento divulgativo.
Tutto l’impianto analitico e persino qualche risvolto dai toni polemici, non presuppone l’utilizzo specifico dell’analisi politico–sociologica in senso stretto bensì nasce dal cuore stesso della facoltà razionale cioè dalla filosofia e costituisce un punto di vista assolutamente personale dell’autore. 

Lo scopo dell’opera, dunque, è di fornire fondamenti filosofici per un approfondito intervento politico e sociale che si ponga con forza di fronte al problema ideologico.
E’ nostra ferma convinzione che non sia possibile alcuna analitica né azione politica e sociale che non muova da fondamenti consapevoli. Tali fondamenti non possono che essere filosofici.



(da La Base Critica di Vess Savage,
autoed. 2011,